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Presentazione del C.I.T. (Centro di Interpretazione del Territorio)

Premessa

Tornando indietro nel tempo ci imbattiamo in vicende che hanno attraversato la storia dell'Europa ed hanno inciso fortemente sul divenire della Sicilia. I luoghi investiti da questi eventi hanno subito una trasformazione incommensurabile e spesso poco studiata e rappresentata. La mancanza della "consapevolezza" non ha consentito alle generazioni che si sono succedute di conservare i "saperi" di comunità che si sono trovate da un giorno all'altro a perdere tutto "cittadinanza, beni, poteri, saperi e soprattutto identità".

Sono trascorsi secoli da allora, si sono succedute sul territorio generazioni inconsapevoli (perché private della consapevolezza e delle tradizioni).

Ma è accaduto un miracolo, i luoghi hanno mantenuto, malgrado la perdita della memoria e gli oltraggi del tempo, la loro vera identità, forse, per assurdo, salvaguardata proprio perché nascosta dall'ignoranza.

Forse, "protetta" dall'abbandono e dall'impossibilità di trasformazione (dovuta alle ristrettezze finanziarie di quelle comunità che si erano succedute dopo l'opulenza e la consapevolezza), è giunta a noi una realtà unica dalla quale è possibile rileggere il modo di vivere e di operare di una comunità "colta" che operava in quel sito, integrata in un ambiente ed in un territorio riuscendo a sfruttare tutte le enormi potenzialità che esso offriva ma senza mai turbarne l'equilibrio, a tal punto che quanto realizzato fino all'inizio del 1600 ha superato le offese del tempo e le ripetute calamità naturali per giungere a farsi apprezzare ai giorni nostri.

Era infatti l'equilibrio tra natura ed esigenze sostenibili della comunità il segreto di questa piccola realtà sapiente, capace di fondare un insediamento antropico talmente in armonia con i luoghi che, dopo secoli di declino economico-culturale e decenni di totale abbandono anche fisico, è ancora strutturalmente integro nella sua presenza materiale con il suo "costruito", capace di superare il tempo e mostrarsi oggi, a chi lo osserva, quale prova per testimoniare tutti quei "saperi" posseduti da chi lo ha saggiamente realizzato.

Il borgo di Pantano ed il suo territorio sono frutto di un "passato" da dimenticare, se non addirittura da negare di fronte alla cultura dominante dell'epoca.


Andare "sulle tracce del Baly" vuol dire ricercare l'epoca del "benessere" del luogo, recuperare la memoria, riappropriarsi dei saperi, ripristinare modelli di sinergia tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda sfruttando le particolarità di borgo Pantano.

Il Centro Culturale di Interpretazione del "Luogo" proposto intende assolvere all'esigenza di creare un ponte tra il territorio, la sua storia, le comunità che lo hanno abitato e le politiche di sviluppo (che sanno riconoscere in questi elementi il vero giacimento dal quale trarre la materia prima per la crescita socio-economica locale), avviando un nuovo sistema di promozione e valorizzazione, un'innovativa possibilità di offerta e fruizione del patrimonio locale che registra grandi e crescenti aspettative in tutta Europa.

L'obiettivo principale è di garantire la riappropriazione dei "saperi" perduti e la riconquista della consapevolezza di appartenenza ad un territorio, alla sua storia ed alla sue peculiarità ambientali e socio-culturali attraverso:

- la testimonianza di un modo di costruire;

- l'opportunità di rileggere una fase storica negli aspetti economici, sociali; culturali- antropologici, ormai lontani ma forse non ancora totalmente dissipati;

- la rappresentazione di un'essenziale (forse anche "umile") ma sapiente cultura materiale che ha consentito ai fondatori di integrarsi totalmente con l'ambiente circostante in una sinergia uomo-attività-ambiente, prosperando per un lungo periodo e consentendo oggi, malgrado un prolungato abbandono, di ammirare la qualità e la sostenibilità dell'antropizzazione ambientale proposta.

Davanti a una simile realtà, diventa evidente l'importanza della valorizzazione e del recupero, intesi quali attività volte al riconoscimento del valore delle testimonianze materiali e immateriali ed alla trasmissione di tali valori.


Il borgo ed il C.I.T.

Dalle ricerche effettuate nel borgo è riportata la presenza di una decina di fuochi (nuclei familiari) in tutto, poco meno di una cinquantina di persone residenti.

Le abitazioni furono costruite secondo un preciso canone insediativo ed architettonico. L'impianto urbanistico risultava posizionato sull'asse SUD – NORD.

Le costruzioni, denotavano precise componenti di tipo materico, estetico, oltre che funzionale assolutamente inconsuete per il territorio. Infatti, non si riscontrano nel circondario tipologie costruttive uguali né identiche combinazioni di materiali per la composizione delle murature. Per trovare qualcosa di simile bisogna addirittura riferirsi alle costruzioni in "pietra e coccio" della Toscana (e più precisamente della Versilia e della Lucchesia).

Lungo la via di accesso, giungendo dal lato monte, ci si addentrava in un vicolo stretto, rivolto a nord, fiancheggiato da case giustapposte con piccole finestre, doppie porte di uscita, una sul vicolo e l'altra sul retro, dove vi era l'orto domestico.

La viabilità si biforcava incontrando l'edificio che rappresentava il Centro del Culto religioso della piccola comunità.

I due "viottoli" abbracciavano sul fianco ad Est e su quello ad Ovest un'insula, fatta di edifici di maggiore dimensione rispetto ai primi, per poi ricongiungersi sul fianco Nord. Qui sorgeva la "torre Bagliva" affiancata da due altre costruzioni poste tutte sul lato esterno del viottolo contrapposte all'insula.

Come si può notare dalla descrizione, non appaino fortificazioni e/o protezioni sui margini e addirittura gli edifici più importanti risultano posizionati sul lato esterno dell'impianto urbanistico.

Questa configurazione risulta quanto meno inconsueta per l'epoca.

L'impianto principale del borgo oggi si presenta ancora godibile nella sua sorprendente completezza, risultando solo appena "sfiorato" dagli insulti del tempo e dall'incuria dell'uomo.

Le unità abitative, secondo uno schema ricorrente nella architettura dell'epoca, avevano dimensioni minime e rispondevano ad esigenze essenziali. Ma in questa impostazione assolutamente priva di superfluo spiccano degli accorgimenti e delle dotazioni che all'epoca non erano previste neppure nelle dimore più lussuose.

Ogni abitazione era, infatti, dotata di cisterna di accumulo idrico che sfruttava sia fonti sotterranee sia un sapiente impianto di raccolta delle acque piovane che convogliava da ciascun tetto l'acqua alla propria cisterna (attraverso condotti realizzati con manufatti di cotto).

Ogni abitazione sfruttava al meglio l'energia passiva, sia per la ventilazione che per il riscaldamento. Particolari artifici costruttivi garantivano l'accumulo, la distribuzione e la conservazione dell'energia solare. La tecnica che prevedeva piccole superfici vetrate esposte ad Est e ad Ovest garantiva la migliore illuminazione degli ambienti evitando l'eccessivo soleggiamento estivo; la parete a sud era per lo più priva di aperture tranne che non ve ne fossero delle piccolissime realizzate per migliorare il raffrescamento naturale, creando correnti convettive per differenza di temperatura tra l'aria fresca in basso e quella più calda in alto.

Inoltre, per la ventilazione si utilizzavano anche delle condotte d'aria interrate che prelevavano l'aria raffrescata e carica di umidità dall'interno delle cisterne.

Queste particolarità consentivano di avere case calde in inverno e fresche in estate; correttamente illuminate durante il giorno, dotate di acqua all'interno e di ventilazione naturale che ne garantiva la salubrità, ecc...

Un livello di confort sicuramente inusuale per l'epoca, ma soprattutto per il territorio. Ma anche un livello culturale degli abitanti del borgo insolito per dei semplici contadini.

A tal proposito, un riscontro concreto che fa scartare l'ipotesi dell'insediamento con origini rurali è, ad esempio, la mancanza di ambienti riconducibili a funzioni di magazzinaggio e/o a stalle per l'allevamento di animali.

Un altro riscontro della peculiarità del costruito poco consono alla cultura contadina si ricavava dalla presenza, in ogni casa, delle cisterne per la raccolta dell'acqua piovana dal tetto, e ciò non perché i contadini non amassero l'acqua ma per il costo che avrebbe comportato la realizzazione dell'impianto e anche per il tempo che avrebbe necessitato il mantenerlo. Infatti, sia il costo che il tempo non erano nella disponibilità di individui che a quell'epoca (e fino all'ultimo "dopoguerra") erano costretti a vivere la dura realtà contadina.

Tutto il costruito era riportato nei documenti dell'epoca come "… lungo più di cento canne e largo la metà".

Era comunque già alla sua origine nato in totale contrasto con il costruito di Rametta e dintorni.

Il borgo era, quindi, un luogo ricco per l'epoca. Possiamo ipotizzare che questa agiatezza e soprattutto questa cultura potessero essere frutto di fermento commerciale e di attività di creazione artigianale idonee a produrre flussi importanti dal punto di vista economico.

Il linguaggio costruttivo rifletteva la complessa civiltà culturale denotando fantasia e gusto, indice dei rapporti con la corte di Spagna, ma soprattutto di origini che riportano alla Toscana.

Si ha notizia che i suoi abitanti si dedicassero principalmente all'arte della tessitura, con una particolare predisposizione per i tessuti bianchi e blu, che costituivano una produzione tipica della comunità.


Il "Centro di interpretazione dei luoghi" (nella sede di origine cinquecentesca) trova dimora nel fabbricato denominato "u Pammentu", (localizzato nel fabbricato), sviluppato su due elevazioni, individuato al foglio 8 particella 184 (senza subalterno), classificato come A/6, unità abitativa di tipo rurale, ricadente nel P.R.G. del Comune di Rometta in area E (agricola).

L'immobile è ubicato al centro di borgo Pantano e risulta essere di indubbio valore architettonico nonché testimonianza della realtà abitativa e produttiva locale, oltre che segno della sua evoluzione subita nei secoli.